TROLLALBERO E I TRE SELVAGGI GOLOSI
Written by Anacleto
Nelle terre di
Keldorania tutto procedeva come al solito… COME AL SOLITO??? Cosa significa
“come al solito” in una terra pullulante di creature straordinarie?
Ecco, per spiegarvelo
vi racconterò la storia di trollalbero; una creatura millenaria che non ha pari
in tutto il mondo conosciuto.
«Coda di volpe!»
disse uno dei tre selvaggi. «Io sono stanco. È tutta la mattina che camminiamo
sotto al sole tirandoci dietro questi due asini cocciuti. Inizio ad avere fame
e sete.»
«Tasso pazzo. Sei
sempre il solito. Quando ti sei offerto volontario sapevi che saremmo andati a
caccia di ieorfanti nella prateria.»
«Si, ma non sapevo
che avrebbe fatto così caldo.»
«E basta!» disse il
terzo selvaggio, quello più vecchio. «Adesso troviamo un riparo dal sole e ci
prendiamo una pausa.»
«Artiglio d’orso, che
ne dici di quell’enorme albero laggiù?» intervenne Tasso pazzo indicando in un
punto lontano a est.
«Un posto vale
l’altro» rispose l’anziano del gruppo.
Ci vollero una ventina
di minuti per arrivare a destinazione.
«Sono anni che vengo
a caccia in queste terre e potrei giurare di non aver mai visto questo albero»
affermò Artiglio d’orso, fermandosi con gli altri due selvaggi sotto le fronde
dell’enorme albero.
«Di sicuro la memoria
ti sta giocando dei brutti scherzi» disse Tasso pazzo, sempre pronto a dire la
propria. «Questo albero avrà almeno mille anni, magari è la prima volta che ci
si spinge cosi a est.»
«Sarà come dici tu,
ma ho una strana sensazione» rispose Artiglio d’orso.
Nel frattempo, Coda
di volpe aveva legato i due asini al tronco dell’albero e aveva preso i viveri
dalle bisacce.
«Basta parlare.
Godiamoci questa meritata pausa e mettiamo qualcosa sotto i denti.»
La gigantesca pianta
sotto la quale i tre selvaggi e i due asini si erano riparati, era alta almeno
venti metri e i suoi rami erano pieni zeppi di larghe foglie, facendo ombra su
un’area che poteva contenere un piccolo villaggio.
Dopo qualche minuto
che la piccola compagnia di cacciatori si era messa comoda a consumare il loro
modesto pasto a base di strisce di carne essiccata, qualcosa cadde diritta
sulla testa di Tasso pazzo.
«Per tutte le fate
dei boschi, cosa succede?» esclamò il giovane selvaggio toccandosi la testa nel
punto in cui era stato colpito.
«Ma è una mela?»
disse Coda di volpe guardando il grosso frutto rotolare in mezzo a loro.
In quello stesso
momento, altre due mele caddero a pochi passi da loro.
«Oggi deve essere il
nostro giorno fortunato. Non solo abbiamo trovato questo meraviglioso posto
all’ombra in mezzo alla prateria, ma adesso questo albero ci sta dando anche da
mangiare.» Nel dire quelle parole, Tasso pazzo afferrò la mela e, senza
esitare, se la portò alla bocca.
«Fermo lì, imbecille.
Come fai a fidarti? Non sappiamo niente di questa pianta» disse subito Artiglio
d’orso all’avventato compagno.
«E cosa c’è da
sapere. È una dannata mela e io me la mangio. Anzi, se non hai nulla in
contrario, dopo mangerò anche la tua.»
Anche Coda di volpe
afferrò una delle mele cadute, forse per paura che l’amico potesse rubare anche
la sua.
«Ti credi furbo eh?»
continuò l’anziano. «Anche se non sono un esperto, non credo che questo sia un
albero di mele.»
«Hai detto bene. Non
sai nulla di alberi. Magari è solo una specie diversa» disse Tasso pazzo.
«Ti ordino di
lasciare quella dannata mela!» insistette Artiglio d’orso.
«Non ci penso
proprio!» ribatté il giovane addentando il grosso frutto.
Inizialmente, gli
altri due non mossero nemmeno un muscolo, quasi come se si aspettassero che
l’amico cadesse morto stecchito con la bava alla bocca.
«Ma è ottima. Mai
mangiato nulla di più buono» disse Tasso pazzo con la bocca piena.
«Come ti senti?»
chiese subito dopo Coda di volpe con la sua mela tra le mani.
«Come vuoi che mi
senta? Davvero dai retta a quel vecchio che ha paura anche della propria ombra?»
rispose il selvaggio, spocchioso.
Per Coda di volpe non
servirono altri inviti. Ignorando gli avvertimenti del vecchio, si portò anche
lui alla bocca il frutto.
«Avevi ragione. È
ottima.» disse quasi subito il selvaggio.
A quel punto, anche
il vecchio afferrò la mela da terra, ormai sconfitto dalla stupidità dei suoi
compagni.
«Bravo!» esclamò
Tasso pazzo. «Mangia e sta’ zitto. Dopo mi ringrazierai.»
Ma questo non avvenne
mai.
Dopo qualche minuto
che i tre selvaggi ebbero mangiato le loro mele, senza nessun motivo, avevano
cominciato a ridere a crepapelle, e non si accorsero dei due grossi rami che si
stavano abbassando verso di loro.
Coda di volpe e Tasso
pazzo furono i primi ad essere afferrati dalle enormi mani legnose e sollevati
verso una grossa fessura in alto nel tronco.
Improvvisamente, due
occhi rossi di aprirono poco sopra la fessura, e solo allora Artiglio d’orso
capì che quello era un volto. Nonostante quella improvvisa consapevolezza, il
vecchio non riusciva a fare altro che ridere. Era come paralizzato.
Continuando a ridere,
i due selvaggi furono portati fino alla fessura, e uno alla volta furono
divorati un morso alla volta. Quando dei due giovani non rimase altro che il
sangue sulle grosse mani legnose, fu il turno dei due asini, che sollevati senza
sforzo, finirono anch’essi nelle fauci dell’albero.
Per Artiglio d’orso
non restò altro da fare che aspettare il proprio turno, ma dopo quel macabro
pasto le gigantesche braccia si riposizionarono in alto, ritornando ad essere
immobili come rami.
Anche l’effetto delle
mele esilaranti svanì e, improvvisamente libero, il vecchio corse via veloce
come il vento, lontano da quell’albero mostruoso che lo aveva stranamente
risparmiato.